Arte (soffitti dipinti e bastides del Midi)

SOFFITTI OCCITANI

La Storia dell’arte non è (o non è soltanto) un viaggio nella “bellezza”, ma piuttosto un viaggio nella storia attraverso le immagini. Le immagini hanno un valore documentale straordinario, comunicano con immediatezza una ricchezza di contenuti per cui non basterebbero pagine di testi scritti. La storia che ci narrano è solo qualche volta la storia di imprese, guerre, grandi personaggi. E’, invece, assai più spesso, storia sociale, storia della gente che viveva in un dato luogo, in una data epoca. L’arte riflette e documenta il modo di vivere, la cultura, le credenze, la fede, i valori, le fantasie. Tutto ciò emerge a volte esplicitamente, a volte in filigrana all’interno di rappresentazioni che hanno soggetti e finalità diverse da quella di rappresentare direttamente l’ambiente che circonda gli artisti. Il Pantocrator di Taüll o il Creatore in tunichetta rosa di Michelangelo ci dicono molto di più sull’uomo dell’Europa cristiana del XII secolo e su quello del Rinascimento, che non sul Padreterno in quanto tale.

Ma torniamo ai documenti più diretti, abbastanza rari (benchè non assenti) nella “grande pittura” almeno fino al ‘600 olandese. Frequentemente essi sono veicolati dalle cosidette arti minori : illustrazioni di libri (come la famosa raccolta di testi poetici del Codex Manesse, corredata da una quantità di miniature), o partiture decorative, come i fregi scultorei dei mesi sui portali delle cattedrali medievali.

Un contesto che ha dato spazio a questo tipo di rappresentazioni “contemporanee” è costituito dai soffitti lignei medievali.

Se ne trovano un certo numero sopravvissuti con le loro decorazioni originali, sparsi qua e là per l’Europa, ma nella regione occitana, attorno a Narbonne, la concentrazione è davvero fuori dal comune.

Già erano noti quelli del palazzo arcivescovile di Narbonne, ripuliti, studiati e restaurati nel secolo scorso, conservatisi in buone condizioni nonostante l’edificio, dopo la Rivoluzione, sia stato adibito agli usi più diversi, da granaio a prigione, a scuola, a municipio.

Ciò che è del tutto stupefacente è la quantità di soffitti di questo tipo ritrovati (e ancora in via di ritrovamento) in altri centri minori dell’Aube, e, segnatamente, in un piccolo villaggio dell’entroterra narbonese, Lagrasse (poco più di 600 abitanti).

L’abitato si formò attorno a una abbazia, fondata da Carlo Magno e destinata a divenire la più importante del sud-ovest, estendendo il suo “potere” anche sulle contigue regioni spagnole.

Il nome stesso testimonia della fertilità e della ricchezza delle campagne circostanti, che costituivano i possedimenti del monastero.

Nell’antico borgo si sono conservate numerose abitazioni medievali, appartenute originariamente ad agiati mercanti, e successivamente passate di mano in mano.

Gli originali soffitti lignei (evidentemente assai solidi) fatti decorare nel corso del XIV /inizio XV secolo da proprietari borghesi con aspirazioni di piccola nobiltà, furono poi (quando i gusti cambiarono) ricoperti da una mano di calce o nascosti da controsoffittature. La memoria di queste pitture andò perduta. Solo recenti lavori di ristrutturazione le hanno riportate alla luce.

E ci rivelano un mondo. Poiché le tavolette che colmano perimetralmente gli spazi tra le travi, costituiscono un programma iconografico che si propone come una specie di compendio dei più diversi aspetti della vita: l’amore cortese e il sesso a pagamento, il gioco e la musica dei menestrelli, ma anche lo sberleffo scurrile, la natura nei suoi aspetti realistici e in quelli immaginari di ibridi fantasiosi.

Ciò che stupisce è che questi temi ricorrenti non siano presenti solo nelle case dei borghesi, ma anche nelle dimore degli ecclesiastici: li ritroviamo infatti sia nell’arcivescovado di Narbonne, sia nel priorato di Lagrasse. Luoghi dove, piuttosto, ci si sarebbero aspettati edificanti decori di soggetto pio…

La vita, insomma, nella sua variegata realtà, faceva irruzione con il suo impeto multiforme e prepotente anche laddove ci si sarebbe potuta attendere compunzione e pacato invito alla elevazione spirituale.

Dalla testimonianza preziosa dei soffitti occitani esce, dunque, la conferma di un Medio Evo capace di slanci poetici e di sogni fantasiosi, ma anche carnale e sboccato, che getta, con la leggerezza del giullare, uno sguardo impietosamente realistico sui difetti e le debolezze umane.

E’ la società che ci hanno fatto conoscere novellisti come il Boccaccio, una società che non ha, tuttavia, trovato grande spazio per la propria autorappresentazione figurativa. O forse, a suo tempo, lo aveva anche trovato, ma proprio il suo essere arte profana, non circondata, quindi, da un’aura di sacralità, in un’epoca in cui non esisteva il culto della conservazione, ha fatto sì che queste immagini venissero facilmente eliminate e sostituite, per adeguarsi a nuovi modelli.

Oggi miracolosamente riaffiorano quei documenti di vita che squadre di ignoti artigiani ci hanno inviato attraverso i secoli: ci parlano di noi, del nostro mondo, di ciò che siamo stati.

Nelle immagini (che provengono da soffitti diversi)

1 Diffusione soffitti dipinti medievali in Europa

2 Case con soffitti lignei a Lagrasse (in alcune su più piani)

3/5 Soffitti lignei

6/8 Amor cortese

9/13 Musica e giocolieri

14 Buffone

15/17 Prostituzione (bagno di coppia con
monaco,rasatura del pube, pagamento)

18/20 Scurrilità

21 Guerra

22/23 Caccia

24/28 Animali veri e immaginari

BASTIDES, CITTA’ DI EGUALI

Sollecitata dalla contiguità geografica con il Narbonese, mi viene voglia di parlarvi delle bastides.

Probabilmente moltissimi di voi ne hanno vista qualcuna, ma la loro storia ne fa un unicum in Europa.

Disseminate a centinaia su un territorio che va dai piedi dei Pirenei alla Dordogna, sorte in gran parte nel giro di una ottantina d’anni, a partire dal 1222, le bastides sono “città di fondazione”, create ex novo, seguendo un preciso modello (fisicamente adattato alla natura del terreno). Non dunque villaggi sviluppatisi in modo spontaneo attorno a un castello o a una abbazia, come tipico dei borghi medievali, ma piccoli insediamenti urbani nati da un preciso progetto politico, economico e sociale, di cui la struttura architettonica costituisce l’aspetto concreto.

Il problema che si poneva nei primi decenni del XIII secolo al conte di Tolosa e agli altri signori locali (conti di Foix e di Poitier, Vescovi e grandi Abati) era il fatto che il territorio fosse rimasto gravemente spopolato per ragioni diverse, tra cui la lotta contro l’”eresia” albigese (che imperversava dal XII secolo e che culminò nella Crociata, all’inizio del’200) e il brigantaggio, favorito dalla vicinanza delle impenetrabili valli pirenaiche. Si trattava, per giunta, di un’area particolarmente “delicata”, visto che confinava con la parte dell’Aquitania in mano agli Inglesi. Si imponeva quindi la necessità di un ripopolamento che ne costituisse anche un presidio.

La soluzione fu trovata nella creazione di piccole “città” che avessero la caratteristica di attrarre nuovi abitanti, attraverso un favorevole regime fiscale, una consistente autonomia amministrativa, una assegnazione gratuita di lotti per la costruzione di abitazioni e quella di terreni agricoli nella zona circostante. Vere e proprie New Towns precisamente regolamentate.

Tracciato il perimetro, disposta una rete stradale ortogonale (con strade da 6 a 10 m per l’agevole passaggio dei carri), costruita la chiesa e la piazza, i blocchi residenziali erano suddivisi in porzioni di uguale dimensione per ciascun “assegnatario” che vi doveva costruire (tassativamente entro un anno) la propria casa secondo tipologie definite (semplice abitazione, casa con laboratorio artigiano, casa con bottega su strada). Fuori dal perimetro urbano, la campagna era anch’essa suddivisa in poderi di 5/6 ha (dimensione considerata congruente con le possibilità tecnologiche dell’epoca per un’”impresa familiare”). Era infatti proibita la servitù, e, anzi, molti contadini, attraverso l’istituzione delle bastides, si affrancarono dal servaggio a grandi proprietari e abbazie, per divenire “coltivatori diretti”.

La logica fortemente eguaglitaria, escludeva, inoltre, la possibilità di ammissione di chi godesse di qualche tipo di privilegio (nobiliare o ecclesiastico). Molti membri della piccola nobiltà preferirono rinunciare ai propri titoli per diventare cittadini delle bastides e goderne i vantaggi.

Le bastides erano amministrate da due Consoli, affiancati da un Consiglio di 6 membri: si trattava di cariche elettive della durata di un anno, la cui elezione spettava ai capi famiglia (è importante notare che le vedove, riconosciute come capi famiglia, avevano pieno diritto di voto). Un notaio, di fiducia del fondatore, sorvegliava sul rispetto delle regole e riscuoteva , per suo conto, le imposte.

La struttura urbana, come accennato, prevedeva una grande piazza (da 70 a 90 metri di lato) interamente circondata da edifici porticati, non tagliata da alcuna strada e, quindi esclusivamente pedonale. Era destinata a riunioni collettive, feste, teatro, fiere e mercati. Ogni piazza era anche dotata di uno spazio di mercato coperto (le famose halles che esistono ancora, con le loro capriate lignee e i tetti di tegole o di ardesia).

La chiesa non dava sulla piazza, ma sorgeva in un lotto contiguo, affiancata da abitazioni.

Teoricamente, le cittadine dovevano essere circondate da mura, che però vennero raramente costruite, se non nelle zone direttamente di confine (o, più tardi, durante la Guerra dei Cent’anni).

Sul modello francese, anche gli Inglesi fondarono bastides nei loro territori in Aquitania.

Non tutte le nuove città ebbero, però, il medesimo successo: per ragioni diverse, alcune stentarono a popolarsi, altre proprio non decollarono.

Molte, infine, hanno subito, nel tempo, profondi mutamenti, e conservano oggi solo parzialmente il loro aspetto originario.

Resta però la tangibile memoria di una esperienza urbanistica unica, straordinariamente moderna, di pianificazione del territorio e di progetto funzionale degli insediamenti umani, fondata su scelte razionali (vie di collegamento, approvvigionamento idrico, tipologia dei terreni), regole precise, chiara definizione di diritti e doveri dei cittadini (sottratti così ad ogni aleatorietà e ad arbitrio).

Tra le 300 bastides ancora esistenti, Monpazier (nel Perigord) è una delle più tipiche e meglio conservate.

Nelle immagini

Presentazione

1 Schema base del modello urbano delle bastides

2/4 Piante di bastides (Leplan, Jegun, Gimont)

5/14 Montapzier (pianta, dettaglio area centrale, vista

aerea, immagini urbane)

15/18 Villefranche du Perigord

18/20 Villeneuve sur Lot

21/23 Sauveterre en Rouergue

24/26 Labastide Clairence

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L'immagine può contenere: cielo, abitazione e spazio all'aperto

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